FROSOLONE E I FERRI TAGLIENTI

"... Frusolone una delle terre più popolate del contado tiene una vastità grande di montagna ... e oltre all’agricoltura i suoi abitatori scorrono per più province con l’arte di ammolare forbici e aggiustare caldaje..." "...e gli è vero si lavorano ottime forbici, coltelli, rasoi sì in Campobasso come nella Ripalimosani,  Frusolone, Isernia, Longano..." ...

... così Francesco Longano nel 1788 riferiva sulla produzione artigianale frosolonese auspicando, a dir il vero, una maggiore presenza nei mercati regionali anche in vista della possibilità che gli artigiani avevano di costruire armi molto utili agli eserciti di quel periodo.

La situazione descritta dallo storico economista alla fine del ‘700, in un contesto di grande prosperità del paese, appare quella di una normale attività lavorativa sicuramente subordinata all’importantissima attività economica della pastorizia che vantava allora come adesso, una tradizione millenaria.

Nel secolo XIX invece il quadro globale economico del paese è totalmente cambiato. La lavorazione delle forbici e dei coltelli, si impone come attività preponderante.

Questa significativa evoluzione, che comporta notevoli risvolti sociali legati ad un diverso tipo di economia, va probabilmente collegata da una parte ai governi napoletani di inizio secolo che si sforzano di promuovere realtà anche microindustriali con mostre, esposizioni, fiere, mercati sia a livello distrettuale che statale, dall’altra alla normale e più generale evoluzione storica dell’intera Italia Centro-Meridionale, che denuncia ovunque il passaggio da una società prettamente agricolo-pastorale ad una più strettamente collegata al mondo artigianale in alcuni casi industriale.

Durante tutto l’800 la lavorazione delle forbici e del coltelli diviene elemento caratterizzante di Frosolone per numero di addetti e risultati ottenuti, nel 1828 i fratelli Fazioli Giustino e Giuseppe, ottennero la medaglia d’argento all’esposizione di Napoli, mentre il numero di artigiani aumentava progressivamente fino ad arrivare al 1888 con circa 500 artefici. La differenza prima di essere di volume fu molto probabilmente di concetto.

Esisteva una diversità tra gli "ammolatori" citati dal Longano e gli artigiani dell’800 e tra questi e quelli del nostro secolo dovuta soprattutto all’evoluzione del mercato e alla commercializzazione mai facilitata per il nostro paese di montagna.

Già dal 1750 con un decreto, Carlo III vietava la produzione di armi determinando un notevole cambiamento nel settore costretto a ripiegare sulla lavorazione di arnesi da taglio ad uso agricolo e domestico, con tutte le implicazioni che questo comportava nella vendita.

La capacità di cambiare e adeguarsi ai mutamenti del mercato, per nulla indolore in verità, prima di essere legata alla capacità di adattamento dei singoli artigiani, va spiegata come fatto puramente culturale, proprio della nostra popolazione.

Tra gli artigiani citati nell’Onciario del 1780, troviamo i Covatta, Colantuono, Di Nuoscio, Di Saja, Fazioli, Nucciarone, Santino, Di Carlo, Maselli ecc. che altro non sono che l’anello di congiunzione tra una fase antica (durata fino alla seconda metà del XVIII secolo) e una moderna che si apre con il secolo XIX caratterizzata da una maggiore duttilità della produzione in molti casi unita a quella del rame e dall’immane sforzo a volte vano della commercializzazione del prodotto.

Queste difficoltà rimangono invariate per tutto l’800 e la prima metà del 900 quando ai non del tutto solidi tentativi di associazionismo si aggiungono i disastrosi eventi delle due guerre mondiali, la crisi degli anni '20 e quella degli anni '40 e '50 che determinano tra i coltellinai rimasti, paurose condizioni di vita con un conseguente generale abbassamento della produzione per altro sottoposta all’intermediazione di terzi non sempre corretta.

L’ultimo tentativo di cooperazione, per altro coevo alle più fortunate fabbriche dei Fraraccio, Tasillo, De Luca, Permanente, costituito nel 1945 e estinto nel 1988, seppur nato tra gli entusiasmi generali, del primo dopo guerra, grazie alla generazione di coltellinai del primo novecento superstite di guerra, che in una situazione di grande difficoltà riuscì a connettere le proprie esperienze in un unico sforzo produttivo.

In quello stesso momento, alcune botteghe a conduzione familiare con una propria una secolare tradizione, cominciano ad assumere una connotazione preindustriale. In tale successione di eventi rimane come elemento invariabile e persistente, la famiglia. Padre, madre, nonni, zii, i figli più piccoli, tutti lavorano bottega. Non era insolita la scena di donne, madri o sorelle, che riempivano i propri grembiuli di coltelli e forbici a seconda dei casi, per andare a venderli nel vicino paese di S. Elena o che si davano da fare nelle fasi più "leggere" della lavorazione. I figli da piccolissimi venivano avviati al mestiere insiemi ai  "garzoni"  che dovevano solo apprendere il mestiere. La lavorazione dunque assumeva nel contesto della bottega una duplice valenza, una esterna, tradizionale che veniva tramandata da padre in figlio, una specifica dell’artigiano che si basava sulla propria esperienza nel proprio contesto familiare di cui ovviamente facevano parte anche i suddetti garzoni.

Moltissimi sono i casi di persone provenienti da situazioni più disparate, attratte in questo settore, studenti, contadini, anziani, operai, tutti coinvolti in misura così significativa nel quadro lavorativo del paese, da giustificare tale incremento numerico come un vero fenomeno culturale all’interno del quale si colloca, con tutto il suo portato sociale, il nucleo familiare.